" L’umanità vive in questo momento
una svolta storica che possiamo vedere
nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle
persone, per esempio nell’ambito della
salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior
parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana
precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la
disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei
cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono
la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna
lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo cambiamento
epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e
accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni
tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e
della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove
forme di un potere molto spesso anonimo.
Così come il comandamento “non
uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi
dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa
economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia
assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di
due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che
si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi
tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il
potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi
masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza
prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come
un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla
cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più
semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di
qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza
alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi,
nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono
“sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.
In questo contesto, alcuni ancora
difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni
crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé
una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è
mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella
bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati
del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad
aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per
potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione
dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare
compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti
al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una
responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci
anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo
ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità
ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.
Una delle cause di questa situazione
si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo
pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi
finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una
profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano!
Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una
nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una
economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi
mondiale che investe la finanza e
l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un
orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi
bisogni: il consumo.
Mentre i guadagni di pochi
crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più
distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da
ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione
finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di
vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia
invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le
sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i
Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro
reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e
un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama
del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a
fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia
fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato
divinizzato, trasformati in regola assoluta. Dietro questo atteggiamento si nascondono il
rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda di solito con un
certo disprezzo beffardo. La si considera controproducente, troppo umana,
perché relativizza il denaro e il potere. La si avverte come una minaccia,
poiché condanna la manipolazione e la degradazione della persona. In
definitiva, l’etica rimanda a un Dio che attende una risposta impegnativa, che
si pone al di fuori delle categorie del mercato. Per queste, se assolutizzate,
Dio è incontrollabile, non manipolabile, persino pericoloso, in quanto chiama l’essere
umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da qualunque tipo di
schiavitù. L’etica – un’etica non ideologizzata – consente di creare un
equilibrio e un ordine sociale più umano. In tal senso, esorto gli esperti
finanziari e i governanti dei vari Paesi a considerare le parole di un saggio
dell’antichità:
«Non condividere i propri beni con
i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non
sono nostri, ma loro».
Una riforma finanziaria che non
ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei
dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e
con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni
contesto. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e
poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono
aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà
disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in
favore dell’essere umano.
Oggi da molte parti si reclama maggiore
sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella
società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si
accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza
uguaglianza di opportunità, le diverse
forme di aggressione e di guerra
troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando
la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte
di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di
intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non
accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono
esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto
alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si
acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a
scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per
quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male
annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione
e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a
partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. Siamo lontani dal
cosiddetto “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo sostenibile
e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate.
I meccanismi dell’economia attuale
promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato,
unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la
disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti
non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che
reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione
violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti.
Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei
propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la
soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri
addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi
vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente
radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni –
qualunque sia l’ideologia politica dei governanti."
(Passo tratto dall'Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del Santo Padre Francesco)