martedì 24 dicembre 2013

Buone notizie di Natale

Siccome a Natale siamo tutti più buoni, ecco due buone notizie, per concludere con speranza il 2013:
Ø  un emendamento sugli affitti inserito nella legge di stabilità 2014, prevede l’obbligo di versamento del canone tramite pagamento elettronico, vietando l’uso del contante;
Ø  nel disegno di legge delega in materia fiscale già approvato alla Camera e adesso all’esame del Senato il Ministro dell'Economia e delle Finanze Saccomanni ha sottolineato che «l’intento è quello di potenziare i sistemi di tracciabilità dei pagamenti favorendo una corrispondente riduzione dei relativi oneri bancari; incentivare l’utilizzo della moneta elettronica rispetto al contante; favorire il crescente utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi mediante una riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili».


Buona Natale a tutti!

lunedì 9 dicembre 2013

Il costo del denaro contante

Anche se pochi ne sono consapevoli, il contante ha un costo elevato. Bisogna infatti produrlo, trasferirlo in sicurezza e custodirlo.
Uno studio del 2012 elaborato dalla Banca Centrale Europea ha evidenziato che per il denaro l'Europa a 27 spende lo 0,46 del suo prodotto interno lordo, pari a 60 miliardi. E in Italia, dove i biglietti di banca sono più diffusi che altrove, i costi sono pari a  circa 8 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del PIL (valore superiore a quello, 0,40 per cento, rilevato nella media degli altri paesi europei).
Entrando più nel dettaglio lo studio citato rileva che il costo sociale per operazione è minore per il contante (0,33 euro) rispetto a quello delle carte di debito (0,74 euro) e di credito (1,91 euro), ma se rapportato al valore medio dell’operazione il contante risulta al contrario lo strumento più costoso (2 per cento).
Sono poi elevate, anche con riferimento ad altri strumenti (es. bonifico tradizionale) che richiedono un forte impiego di risorse umane, le quote dei costi interni per la sicurezza fisica, impiego che invece un maggior ricorso a strumenti elettronici potrebbe ridurre, migliorando l’efficienza complessiva del sistema.

mercoledì 4 dicembre 2013

II rapporto tra l’uso del contante e l’evasione fiscale: qualche dato su cui ragionare.

L’Italia si distingue per la diffusione di pagamenti irregolari e di tangenti, occupando il 25° posto in questa penosa classifica (fanno peggio solo la Slovacchia, il Messico e la Grecia): è quanto emerge dall’analisi sulla diffusione di pagamenti irregolari e tangenti elaborata dalla Confcommercio su dati del World Economic Forum e della Banca mondiale (fonte: Le determinanti dell’economia sommersa. Il rapporto dell’Ufficio Studi Nazionale Confcommercio).
“Grecia e Italia sono i Paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro) e contestualmente hanno la più alta incidenza dell'economia sommersa sul Pil”, rileva l'economista del Centro Europa Ricerche Carlo Milan sulla voce.info nel suo articolo “Meno contante contro l'evasione”.
L’Istituto per la competitività ha calcolato che 15 euro in meno di prelievo medio per operazione effettuato presso gli sportelli bancomat corrispondono una diminuzione del volume dell’economia sommersa superiore a 23 miliardi di euro, per un maggior gettito di 9.8 miliardi, mentre 20 euro in meno di prelievo medio per operazione effettuato presso gli sportelli bancomat genererebbero addirittura un maggior gettito pari a 13.1 miliardi. (Fonte: elaborazioni I-Com su dati Eurostat, ECB e Schneider (2013-Anno di riferimento 2011)
Come spiega il settimanale l’Espresso in una lunga e interessante analisi sull’evasione fiscale pubblicata nel settembre 2013, “una soluzione semplice ci sarebbe. L'hanno sperimentata, all'inizio degli anni Duemila, nella Corea del Sud. Dove prima hanno imposto un tetto al contante equivalente a 42 dollari. Poi hanno concesso ai titolari di carta che la utilizzavano per gli acquisti e si prendevano la briga di conservare la ricevuta uno sconto fiscale (che per giunta garantiva la partecipazione a una lotteria) fino a un massimo di 4.200 dollari l'anno o del 20 per cento del reddito. E ribassato del 2 per cento l'Iva ai commercianti che dimostravano di aver incassato tramite Pos. Ha funzionato. Algebris Investments ha studiato il caso. E sulla base di dati della Myongji University si è presa la briga di calcolare che quelle semplici misure hanno ridotto il sommerso di cinque punti in percentuale sul Pil. Da noi vorrebbe dire recuperare d'un colpo 20 miliardi di gettito fiscale.”
Ne vogliamo parlare?

lunedì 2 dicembre 2013

L'esperienza svedese

La Svezia è stata il primo paese europeo ad introdurre le banconote nel 1661. Ora è quello più propenso a sbarazzarsene.
A Stoccolma, il denaro contante (ovvero i soldi in circolazione rispetto al Pil) rappresenta appena il 3% dell’economia nazionale - la media europea è il 9% - ed è stata anche questa svolta radicale verso il digital money che è valso alla Svezia il primo posto del Global Information Technology Report, con cui il World Economic Forum premia i Paesi più virtuosi nell’ambito delle tecnologie della comunicazione e informazione (Ict).
In Svezia non c’è panificio o bottega che non sia predisposta al pagamento con carta di credito; sugli autobus pubblici i biglietti sono prepagati o acquistati tramite cellulare, mentre è in continuo aumento il numero delle attività commerciali che accettano solo carte di credito. Perfino alcune filiali delle principali banche hanno completamente abolito le operazioni di cassa per dedicarsi del tutto alle transazioni elettroniche.
Coadiuvate dalla rete di banda larga più avanzata del mondo e sotto la regia della Banca Centrale, Riksbank, tre delle quattro maggiori banche del Paese, ossia 530 delle 780 filiali, non accettano banconote in pagamento né pagano in contanti. Ormai 200 su 300 uffici della Nordea Bank, e tre quarti degli sportelli della Swedbank, fanno solo transazioni elettroniche.
«Stiamo attivamente riducendo il contante nella società», vanta Peter Borsos, portavoce della Swedbank. I pagamenti elettronici sono più sicuri, riducono il pericolo di furti e rapine, e soprattutto «il trasporto del denaro su automezzi blindati produce centinaia di tonnellate di gas-serra; noi soli della Swedbank emettiamo 700 tonnellate di biossido di carbonio per questo, con un costo per la società di 11 miliardi l’anno».
Anche dove è più impensabile, come i luoghi di culto, ci si sta attrezzando: a Karlshamn, nella Svezia meridionale, il parroco della chiesa di Carl Gustaf ha sostituito il tradizionale offertorio con un lettore di tessere per consentire ai fedeli di fare le donazioni in digitale.

mercoledì 27 novembre 2013

Papa Francesco condanna l'evasione fiscale.

" L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo  vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i  successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio  nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non  possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo cambiamento epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo.

Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.

In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.

Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi
mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo.

Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta.  Dietro questo atteggiamento si nascondono il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda di solito con un certo disprezzo beffardo. La si considera controproducente, troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere. La si avverte come una minaccia, poiché condanna la manipolazione e la degradazione della persona. In definitiva, l’etica rimanda a un Dio che attende una risposta impegnativa, che si pone al di fuori delle categorie del mercato. Per queste, se assolutizzate, Dio è incontrollabile, non manipolabile, persino pericoloso, in quanto chiama l’essere umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da qualunque tipo di schiavitù. L’etica – un’etica non ideologizzata – consente di creare un equilibrio e un ordine sociale più umano. In tal senso, esorto gli esperti finanziari e i governanti dei vari Paesi a considerare le parole di un saggio dell’antichità:
«Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro».

Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano.

Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse
forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. Siamo lontani dal cosiddetto “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate.  


I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato, unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti. Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia l’ideologia politica dei governanti."

(Passo tratto dall'Esortazione Apostolica  Evangelii Gaudium  del Santo Padre  Francesco)

lunedì 25 novembre 2013

E’ vero che la maggior parte dell’evasione e l’esportazione di grandi capitali, non avviene in contanti, ma tramite sovra e sotto fatturazioni e altri sotterfugi contabili?

Anche in questo caso, verifichiamo i dati disponibili.
L’ISTAT ha pubblicato i suoi ultimi calcoli disponibili sul sommerso in Italia in un documento del 2010, in cui ha stimato il sommerso in una forchetta tra il 16.3% ed il 17.5 % del PIL in riferimento ai dati del 2008: il sommerso economico, quindi, era compreso tra un minimo di 255 ed un massimo di 275 miliardi di euro. Va segnalato che i dati qui riportati sono tuttavia relativi all’imponibile sommerso, e non quantificano quanto sia fiscalmente recuperabile (ossia stimano il PIL in nero, non le imposte e le aliquote applicabili su quel PIL).
Il Centro Studi e Ricerche Sociologiche “Antonella Di Benedetto” di Krls Network of Business Ethics per conto dell’Associazione Contribuenti Italiani, in un recente studio ha identificato cinque tipologie di evasione fiscale. Vediamo quali sono e a quanto ammonta il loro valore.
Una grossa fetta dell’economia sommersa è composta da lavoratori in nero: circa 3 milioni di lavoratori  assunti senza un regolare contratto di lavoro, ai quali si aggiungono 850 mila lavoratori dipendenti al loro secondo o terzo lavoro non contrattualizzato. Insieme, generano un sommerso di 34,2 miliardi di euro.
Una terza categoria di evasione è quella composta da lavoratori autonomi e piccole imprese, che non emettono fatture o scontrini, per un valore pari a 8,2 miliardi di euro.
Le ultime due tipologie di evasione fiscale sono i più gravi e si compongono del giro di affari prodotto dalle mafie, italiane e straniere, pari a circa 78,2 miliardi di euro e le tasse non pagate dalle grandi compagnie – 38 miliardi  di euro – grazie al trasferimento di costi e ricavi in paesi con regole fiscali più leggere.
Il rapporto della Guardia di Finanza per il 2012 ci informa inoltre che sul fronte immobiliare sono state individuate circa 700 società operanti nella compravendita di abitazioni che, a fronte di beni venduti, hanno sottratto al fisco circa 600 milioni di euro di imponibile e poco meno di 60 milioni di Iva.
L’indagine condotta nel 2013 da Cgil e Sunia sul mercato delle locazioni per denunciare le situazioni in cui versano parte dei 600 mila studenti universitari fuori sede, poi, ha rilevato una mole di sommerso enorme che ammonta a circa 1,5 miliardi di euro di imponibile annuo per un'imposta evasa pari a 300 milioni di euro cui vanno aggiunti 30 milioni di euro di imposta di registro evasa.
Facendo due conti - anche in maniera forzatamente grezza-  il sommerso che emergerebbe e sarebbe sottoposto a tassazione a seguito dell’eliminazione del denaro contante, sulle base dei dati sopra riportati, sarebbe il seguente:
Lavoro nero
34.2 miliardi di euro
Evasione di lavoratori autonomi e piccole imprese
8.2 miliardi di euro
Compravendita di abitazioni
600 milioni di euro
Locazioni
1.50 miliardi di euro
TOTALE
44.50 miliardi di euro

A ciò vanno aggiunti almeno i risparmi generati dalla cessazione dell’erogazione di benefici e sussidi a soggetti che non ne hanno diritto, ma che attualmente sono posti in grado di dichiarare redditi bassi o inesistenti.
Non una cifra da poco, vero?  E, peraltro, una cifra superiore all’importo annuo delle tasse non pagate dalle grandi compagnie – 38 miliardi  di euro.
La tassazione generata dall’emersione di tale cifra potrebbe bastare per una significativa riduzione delle aliquote IRPEF e dell’IRAP, ovvero contribuire in misura significativa all’introduzione di un reddito di cittadinanza.
Ne vogliamo parlare?



venerdì 15 novembre 2013

Il costo per il consumatore del passaggio alla moneta elettronica.

Un’altra delle principali obiezioni in merito all’abolizione del denaro contante è costituita dall’asserzione che il costo per il consumatore, esposto alla mercé delle banche e costretto ad aprire un conto corrente ed a dotarsi di bancomat e carta di credito, sarebbe piuttosto salato.
Affrontiamo quindi anche questa obiezione sottoponendola da un rigoroso fact checking.
L’ultima rilevazione di Bankitalia ha evidenziato che la spesa media per la gestione di un conto corrente bancario nel 2012 è stata di € 103,80, in calo rispetto agli anni precedenti. La rilevazione ha preso in considerazione gli oneri e le commissioni, diversi dagli interessi, effettivamente addebitati nel corso del 2012 sugli estratti conto di un campione rappresentativo di clienti. Il decremento risulta dovuto ad una diminuzione delle spese fisse, mentre sono aumentate le spese variabili, in particolar modo le commissione relative alle operazioni effettuate allo sportello e non online. L’analisi di Bankitalia ha inoltre evidenziato che i conti correnti più recenti offrono spesso condizioni economiche migliori rispetto a quelli con più anzianità.( Fonte: Banca d’Italia - Indagine sul costo dei conti correnti nel 2012 – Settembre 2013)
Federconsumatori e Adusbef hanno tuttavia contestato i dati forniti da Bankitalia, effettuando nel 2013 un proprio monitoraggio sul costo medio di gestione di un conto corrente con “profilo a bassa operatività” e rigorosa metodologia ISC (Indicatore Sintetico di Costo): dall’indagine effettuata tale costo medio si attestava a 347 euro, contro una media UE di appena 114 euro.
Se passiamo poi ad esaminare il costo delle carte di credito, il cui canone è talvolta compreso nel canone base del conto corrente, analogamente a quanto avviene per il bancomat,  dovremo considerare una spesa aggiuntiva media, per una famiglia tipo di 4 persone, di circa 85 euro all’anno, come di evince dalla tabella proposta di seguito (Fonte: Altroconsumo):

Banca emittente
Fineco
Intesa Sanpaolo
Unicredit
Unipol Banca
Conto Corrente Arancio
Canone annuo
0 €
30,00 €
33,00 €
26,00 €
0 €
Canone annuo carta aggiuntiva
10,00 €
18,00 €
25,00 €
20,00 €
n.d.
Circuito
Visa + Mastercard
Visa + Mastercard
Mastercard
Visa
Visa
Costo invio estratto conto
0 €
0,70 €
0,82 €
1,50 €
5,00 €
Costo invio estratto conto online
0 €
0 €
0 €
0 €
0 €

Il costo della moneta elettronica, per la nostra famiglia tipo di 4 persone, sarebbe dunque pari annualmente ad una cifra che, a seconda della fonte, può comunque variare da un minimo di € 188,80 (spesa mensile a famiglia euro 15.73) ad un massimo di euro 432,00 (spesa mensile a famiglia euro 36,00).
Il costo è troppo alto? 
Di recente l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha ultimato un’indagine sui costi dei depositi bancari da cui è emerso che ci sono spazi per ridurre i costi e risparmiare fino a 180 euro all’anno, ma occorre più informazione ai cittadini. I bonifici possono sfiorare i 7 euro, i prezzi scendono solo per i giovani, la mobilità da una banca all’altra è ancora molto bassa e non decolla il Conto base, quello a basso prezzo. Nonostante un’evoluzione più competitiva del settore è ancora bassa la mobilità tra una banca e l’altra, ma anche l’applicazione di condizioni più favorevoli all’interno dello stesso istituto. Sono necessari interventi normativi che favoriscano la conoscenza dei risparmiatori. I prezzi più alti sono nelle banche dove si concentra il 70% dei conti correnti. È confermata la convenienza dei conti online.
Occorre inoltre tener presente che parte del costo del conto corrente è costituito dall’imposta di bollo sui saldi medi annuali superiori a 5000 euro, pari ad euro 34,20, tassazione che, nell’ipotesi di un passaggio alla moneta elettronica, andrebbe immediatamente abolita.
Altra misura necessaria allo sviluppo di una maggiore concorrenza in ambito bancario è quella relativa alla portabilità dei conti correnti: l’art. 13 della bozza del disegno di legge collegato alla legge di Stabilità stabilisce che “il rapporto di conto corrente bancario può essere estinto o trasferito ad altra banca a richiesta del cliente, anche se è stato pattuito un termine a favore della banca creditrice. Ogni patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, con il quale si impedisca o si renda più oneroso o complesso per il cliente l'esercizio della facoltà di cui al presente articolo è nullo, ma non comporta la nullità del contratto di conto corrente".
Sulla stessa direttrice, ma con maggiore incisività pratica, sembra muoversi adesso anche la Commissione Ue, che ha proposto una direttiva  presentata dal Commissario UE al mercato interno Michel Barnie  che prevede che il cambio di banca debba avvenire in un massimo di 15 giorni, e che tutte le domiciliazioni siano spostate automaticamente nella nuova banca, qualora un cliente decida di cambiare istituto.
Occorre dunque darsi da fare, come facciamo d’altronde già adesso per la telefonia, l’energia o la televisione, e soprattutto privilegiare, ove in grado, i conti online, che offrono infine operazioni a costo zero.
A fronte dello sforzo che faremo, dobbiamo sempre ricordare i benefici che ricaveremo dall’abolizione del contante, ossia  la risoluzione di importanti problematiche come, ad esempio:
Ø Lavoro nero, ivi comprese le più subdole forme in cui ad un pagamento formale segue il riversamento in contanti di parte di quanto percepito, con generazione di ulteriore nero ed evasione fiscale; 
Ø Evasione fiscale, almeno per tutta quella micro e media evasione che avviene tramite l'uso del contante (commercio al dettaglio, lavoratori autonomi, locazioni abitative...); 
Ø Lotta alla criminalità organizzata, in relazione ad alcune attività, quali lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione ed il gioco d'azzardo, per le quali è inimmaginabile il pagamento elettronico; 
Ø Corruzione, per quella parte che avviene in denaro contante.

E, poi diciamo la verità: quanti italiani non posseggono un conto corrente e conservano in casa tutti i propri averi?

Ne vogliamo parlare?

mercoledì 6 novembre 2013

La moneta elettronica è un rischio, visti i grandissimi volumi di moneta frodati con clonazioni, furti di dati e truffe on line?

Questa settimana vorrei sottoporre a fact-checking uno degli argomenti principali utilizzati da coloro che si dicono contrari all'abolizione del contante: il rischio di frodi informatiche.
In realtà i dati disponibili sconfessano la tesi di chi sostiene che l'utilizzo della moneta elettronica sia molto più rischioso dell'uso del contante.
Nel 2012 in italia le frodi relative a carte di credito sono state appena il 6.5% del totale delle frodi creditizie (fonte Osservatorio CRIF sulle frodi creditizie).  Entrando maggiormente nel dettaglio il tasso di frode per l’Italia nel 2012 (valore del frodato sul totale delle transazioni effettuate) risulta pari a 0,0190% (in diminuzione, rispetto al tasso del 2011, del 2,8%).
Oltre al valore, anche rispetto al numero delle transazioni il fenomeno risulta in calo. La frequenza di operazioni non riconosciute nel 2012 sul totale delle transazioni effettuate infatti è pari allo 0,0104%, circa il 14% in meno sul 2011 (fonte Rapporto statistico sulle frodi con le carte di pagamento” -  Dipartimento del Tesoro).   
E’ da sottolineare, infine, che i servizi di comunicazione SMS fanno scoprire quasi in tempo reale se ci è stata addebitata una spesa non voluta e ci consente di correre tempestivamente ai ripari.
Forte è anche l'attenzione che a livello europeo è stata posta sul contrasto ai crimini informatici, anche attraverso lo sviluppo di forme più incisive di collaborazione tra sistema bancario, Procura nazionale antimafia e forze di polizia. 
Il progetto Of2cen, finanziato dall'Unione Europea, ad esempio, grazie ad una piattaforma di scambio informazioni, raccoglie le segnalazioni di operazioni sospette che vengono comunicate dalle banche alla polizia e facilita lo scambio di informazioni di indirizzi Ip e di dati bancari fraudolenti attraverso canali sicuri.  
Cosa avviene invece sul fronte del contante? Nel 2012 i furti (denominazione in cui sono compresi furti in casa, rapine e borseggi) denunciati sono stati poco 1.517.146, pari a 2.547 furti ogni 100 mila abitanti, ovvero circa 1 furto ogni 39 abitanti.
Ed è un dato in aumento, a causa anche della persistente crisi economica: in particolare i furti in casa sono aumenti del 15.5%, gli scippi del 13% ed i borseggi dell'11% (fonte Elaborazioni del Sole 24 Ore su dati del ministero dell'Interno).
Dati alla mano, quindi, siamo davvero certi che il contante protegga meglio i nostri risparmi? 
Ne vogliamo parlare? 

venerdì 1 novembre 2013

I vantaggi dell'abolizione della moneta contante

Questo blog nasce oggi con l'obiettivo di creare un dibattito serio sull'abolizione della moneta contante e l'introduzione dell'obbligatorietà dell'utilizzo della moneta elettronica, nel tentativo di aggregare persone che possano costituire in gruppo d'opinione numeroso in grado di porre questa proposta non più ai margini bensì al centro del dibattito politico italiano. 
L'abolizione della moneta non elettronica, con conseguente tracciabilità di TUTTI i pagamenti, risolverebbe da sé sola un'enorme serie di problemi che sono resi possibili dalla circolazione del denaro contante, quali, ad esempio: 
1) Lavoro nero, ivi comprese le più subdole forme in cui ad un pagamento formale segue il riversamento in contanti di parte di quanto percepito, con generazione di ulteriore nero ed evasione fiscale; 
2) Evasione fiscale, almeno per tutta quella micro e media evasione che avviene tramite l'uso del contante (commercio al dettaglio, lavoratori autonomi, locazioni abitative...); 
3) Lotta alla criminalità organizzata, in relazione ad alcune attività, quali lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione ed il gioco d'azzardo, per le quali è inimmaginabile il pagamento elettronico; 
4) Corruzione, per quella parte che avviene in denaro contante.
Si potrebbe ammettere la sola sopravvivenza della moneta spicciola, fino ai 2 euro.
Ovviamente occorrerà in parallelo prevedere un abbassamento delle commissioni bancarie e conti correnti gratuiti per i meno abbienti.
Per gli stranieri si potrebbe pensare al rilascio - da parte dei soli istituti bancari - di specifiche carte prepagate.
Per rendere immediatamente percepibili i vantaggi derivati dalla conseguente emersione del sommerso, nonché per far fronte ad un prevedibile iniziale rialzo dei prezzi, occorrerebbe  procedere alla immediata e contestuale riduzione di due punti percentuali dell’IRPEF ed all'abrogazione dell’IRAP, eventualmente prevedendo una clausola di salvaguardia sull’IVA.
I vantaggi sono tanti e di tale portata che trovo assurdo che tutte le obiezioni siano motivate semplicemente con la diffidenza verso le banche o con il timore di controlli stile grande fratello che peraltro sono già esistenti. 
Ben sapendo che la questione è stata più volte affrontata, sia dal famoso speciale di REPORT, sia - a mio parere molto superficialmente - su molti siti web e persino in un sondaggio M5S, nei prossimi post mi soffermerò sulle principali obiezioni che sono state mosse ad un tale progetto.
Ne vogliamo parlare?

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